Lucia Tanti: “la Poti Pictures fa scuola e la Academy diviene un modello a livello internazionale: è ad Arezzo la prima realtà di cinematografia sociale al mondo”
“Assieme al sindaco Ghinelli, ho sempre creduto nel ‘modello Poti’. Arezzo scrive un paradigma nuovo nel settore della formazione per persone con disabilità intellettive. Un grazie all’Università per il sostegno scientifico”
“La Poti Pictures rappresenta una realtà unica al mondo ed è ad Arezzo. Qui, infatti, nasce la prima casa cinematografica sociale al mondo e la ‘sua’ Academy, ovvero il luogo dove persone con disabilità intellettive gravi diventano attori. E per loro questo è un lavoro vero, che tra le altre cose ‘cura’.
Il ringraziamento va a coloro che in questi anni hanno creduto nel rapporto tra formazione, lavoro, accudimento, dignità delle persone. Caratteristiche che, oggi è dimostrato, possono stare insieme. Il merito è di persone anche un po’ visionarie ma concretissime a cui questa città deve molto. Un nome per tutti: Daniele Bonarini”.
Così il vicesindaco con delega anche alle politiche sociali e sanitarie commenta la partecipazione al convegno promosso dall’Università di Siena che ha sviluppato un progetto di ricerca pubblicato su riviste scientifiche dedicato all’esperienza della Poti Pictures.
“Fin dall’inizio – aggiunge Lucia Tanti – il sindaco e la sottoscritta abbiamo creduto che questa fosse un’intuizione unica: l’idea di formare a una professione vera persone con disabilità intellettive sembrava un miraggio reso ancora più arduo, considerando che il perimetro di questa professione è quello legato al mondo del cinema. Grazie alla Poti Pictures, invece, questo è stato possibile: Arezzo ha dimostrato che non ci sono tabù e che, con percorsi mirati e fondati scientificamente, nel rispetto dei limiti e delle potenzialità, la disabilità intellettiva può essere preparata a un lavoro vero anche nel mondo del cinema.
Non più prodotti cinematografici che raccontano la disabilità ma persone affette da questa che fanno cinema e lo fanno sul serio. Si tratta di un lavoro vero e non solo: è una cura che nulla ha di buonista, tanto meno di sostitutivo delle terapie vere e proprie, che appartengono alla medicina. Parliamo di qualcosa che ha a che fare con il diritto di tutti di avere l’opportunità di vedersi riconosciuti in una formazione consapevole ma mai arrendevole, che punta a un risultato giusto e misurato sulle possibilità di ognuno. Da qui il doppio salto: non solo un’esperienza unica al mondo ma che si propone anche di fare scuola e di raccontare come si possano offrire opportunità autentiche oltre i tabù di sempre.
Arezzo, quindi, rompe una frontiera, abbatte un muro, costruisce una strada nuova di cui non possiamo che andare orgogliosi. Questa città oggi inizia a scrivere modelli avanzati, innovativi, coraggiosi, dove al centro stanno le capacità di ogni singola persona. Ringrazio anche l’Università di Siena che ha voluto ‘studiare’ questo paradigma che farà parlare di sé e che ha definito un interessante progetto di ricerca. Un grazie a Loretta Fabbri, Laura Occhini e Alessandra Romano, ricercatori e docenti che hanno accompagnato questo percorso e permesso che Arezzo potesse dimostrare ancora una volta come le alleanze istituzionali scrivano pagine nuove”.
Arezzo, 29 dicembre 2020